Perù 6. Stuck in Perù

Forse alla fine di tutto questo quarantinare, del Perù avrò visto solo Jene Shobo, il lodge dove risiedo. Mi vien da ridere perché comunque potrebbe davvero essere abbastanza. Ho da tempo perduta la curiosità per i cumuli di pietre antiche con le frecce direzionali.
Stasera sono uscita a registrare il rumore della foresta di notte. Una sinfonia.

Racconto me stessa, i miei pensieri, le mie immaginazioni non perché io pensi che siano significativi ma perché mi piace scrivere e sto lottando con l’opinionismo, con le facili ideologie, i genericismi con i “si dovrà fare questo o quello”, con i complottismi che in questo periodo sono particolarmente insistenti.
E’ una lotta “con” e non “contro” perché ne vorrei uscire ammaestrata, né perdente né vittoriosa.
Racconto me stessa perché non voglio scrivere su qualcosa di diverso dalla mia pelle e perché da anni la massa di informazioni che ricevo mi soffoca. Non riesco a pensare. Non mi è bastato eliminare la TV e nemmeno non leggere più i giornali. Le notizie filtrano come l’umido attraverso i muri e condizionano l’essenza della mia vita frantumandola in mille riflessi, confondendo i sentimenti e la mente con propagande di ogni genere. Ad ogni argomento il suo credo e il suo apostolato: politico, culturale, psicologico, spirituale, salutistico.
Tutti sanno tutto di tutto.
Mi racconto in prima persona perché mi sforzo di essere reale.
Desidero comunicare con le persone da questo punto di vista.
Sono interessata alle vite vere, alle emozioni, ai dolori e alle gioie. Soffro sempre di più nell’entrare in contatto con chi, purtroppo spesso in buona fede, dice banalità credendo di parlare di sé spacciando il detto e ridetto per sensazioni personali o idee proprie.
Racconto me stessa per non fare intornismo sugli eventi, sulle circostanze.
Provo a fare realtà in questo modo perché credo che nulla sia più reale di ciò che ci sta dentro, che mi sta dentro.
E questo è ciò che mi interessa comunicare e ricevere.

Questa mattina mi sono svegliata con un’immagine sgraziata negli occhi.
Uno stomaco rovesciato.
Somigliava agli otri che si usano nel deserto. Il tessuto dello stomaco viene usato dai Touareg per mantenere l’acqua fresca. Il primo pezzo dell’intestino viene annodato per diventare il beccuccio. Ricordo l’odore infernale di quegli otri spelacchiati e pelosi appesi alle jeep.
Uffa. Mai che mi svegli con qualcosa di comodo! Proprio mai.
Resto sdraiata a lungo, non avendo motivo di alzarmi e, improvvisamente vedo lo stomaco che si arrovescia. Un movimento simile a quello che si fa con i maglioni o i calzetti quando li si appaia. Ciò che era interno, diventa esterno. Rovesciandosi lo stomaco inghiotte, celandola la luce chiara del mattino che inonda la mia stanza e contemporaneamente butta fuori un’ombra, una luce nera senza fine.  Vedo lo stomaco contenere il chiaro, mentre  tutt’intorno si espande, come l’inchiostro di seppia, un cosmo nero punteggiato di piccole luci guizzanti.
Stabilmente attaccata al letto, rimando ancora di alzarmi.
Chiudo gli occhi, criticandomi e al contempo sorridendo, della mia teatralità visionaria.
Butto fuori i piedi e … sì … l’immagine si trasforma in due pensieri.
Primo. Questo è uno stomaco cosmico.
Secondo. Lo stomaco cosmico sta vomitando fuori l’inconscio.
EH?  Vado in bagno, ci penso su e trovo un senso.

La realtà che stiamo vivendo è la materializzazione del nostro inconscio.  Nello stomaco metaforicamente sosta il non digerito, il non metabolizzato, l’indigesto. I traumi, le fragilità. Tutto quello che per sopravvivenza abbiamo occultato. Tutti i nostri depistamenti. Gli autosabotaggi. Le rimozioni. Le proiezioni.
Lo stomaco cosmico, deposito materiale e animico di tutto ciò che si ingurgita, sta rigettando  le forme pensiero, le immagini, le paure, i credo fideistici e culturali che abbiamo inghiottito.
Stiamo vivendo una immensa purga vomitatoria.
Le paure più profonde sono ora emerse diventando fatti reali.

Paura di morire
Paura di ammalarsi
Paura di essere sepolti vivi
Paura delle bare
Paura della solitudine
Paura della fame
Paura della povertà
Paura della prigionia
Paura del dolore
Paura della libertà
Paura dei governi
Paura dei ladri
Paura degli altri
Paura dell’insensatezza, della stupidità, dell’imbecillità.
Paura delle cattive energie
Paura di non poterci fare niente

Nemmeno il più bravo inconscio rimane tale per sempre e all’improvviso  irrompe e si smaschera.
Questa volta non si limita a sfuggenti lapsus o sogni inedecifrabili. In questo momento l’inconscio cosmico si sta mostrando in modo planetario: il virus è reale e non una strisciante minaccia. I cimiteri sono pieni di bare di legno e non di zombi su pellicola. Il lavoro di tanti è a rischio e non per la provocazione immigratoria. Le automobili non circolano e così non dissimulano più un ideale di libertà da giovani esploratori ever green.  Infatti la libertà ci è tolta.
Lo stomaco cosmico si è nutrito di orrori immaginari che ora sono tutti partoriti.
Adesso possiamo toccarli, ascoltarli.
Abbiamo il privilegio di morire di paura vera e non cinematografica.
Siamo esonerati dal diventare qualcuno perché quello che è interessante oggi è rimare vivi e a galla.
Possiamo riconoscere di avere sostituito il desiderio d’amore con il desiderio di potere. I negozi sono chiusi. Lo shopping non ci consola. Abbiamo l’occasione di parlarci di questo, invece che comperare roba.
Potremmo parlare di quando è morta nostra nonna o nostro padre. Potremmo vedere cosa ci è rimasto dentro dopo il trascorrere di tanti anni da “certi fatti”. Potremmo rivedere le nostre fantasie sul futuro, adattarle a cosa ora ci stimola o ci interessa. Potremmo smettere di occultare il nostro dolore perché oggi è un’esperienza condivisa. Potremmo sciogliere i nodi, piangere e pulire casa come se stessimo pulendoci l’anima. Potremmo non occultare più la paura della morte, il terrore e l’agghiaccio di andarcene senza conforto, perché è questo che sta accadendo. Potremmo parlare di noi, dello spazio nero dentro allo stomaco.

Che meraviglia!!!
Facciamolo!!!

Rivedo ora con gli occhi della mente l’immagine di stamattina.
Lo stomaco forse non era cosmico ma solo il mio. Da una parte il lato oscuro liberato, dall’altra invece era pieno di luce fresca catturata con destrezza in una mattina soleggiata. Il chiarore e la lucentezza erano ripiegati in falde che irroravano con onde di luminescenza folta il suo spazio cavo, riempiendolo di una nuova intimità.
Mi sento bene.

Pucallpa 7 Aprile 2020
Olivia Flaim

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