Shemamporesh. Ciao! Come ti chiami?

Marco Marini e io siamo diventati amici nel corso di questi ultimi quasi quindici anni . Lui è il mio Maestro di Qabbalah e di Astrologia e io ho imparato e continuo ad imparare da lui tutto quello che posso utilizzando i suoi insegnamenti sia per me stessa che per le persone che seguo professionalmente.
Che gioia quando mi ha chiesto di scrivere la prefazione al suo libro  sui Nomi divini!
Eccola qui di seguito.
Questo è il link per l’acquisto del libro https://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__shemamporesh-marco-marini-odetta-mussolin-libro.php

Ciao! Come ti chiami?
Io Olivia e tu?
Ciao, io sono Marco …

Presentarsi è un gesto comune, ma non è banale.
Come molti gesti, il fatto che sia frequente tende a svuotarlo di significato, eppure nel momento in cui dichiariamo il nostro nome, che
ne siamo consapevoli o meno, stiamo consegnando una chiave d’accesso molto importante alla nostra persona.
Da quel momento, potremo essere cercati e trovati per stringere un’amicizia, una relazione, un rapporto di lavoro o altro.
Il nome di nascita, insieme al cognome, ci identifica, dice di chi siamo figli, spesso fa capire da dove veniamo. Usiamo la firma per fare dichiarazioni, per cambiare lo stato civile, per comunicare che qualche cosa proviene da noi. Firmiamo lettere, contratti, matrimoni e testamenti e molti altri documenti che segnano le tappe importanti della vita.
Il nome civile è “ciò che siamo” per poter fare.  Non è “chi siamo”, ma è l’identità che ci permette di essere riconosciuti e di agire nel mondo. È la nostra propaggine.
Il nome di nascita ci è assegnato. Qualcuno lo ha scelto per noi, spesso per rinnovare un patto d’amore. Il suo particolare suono ci appartiene sin dalle prime ore della nostra vita. La sua vibrazione è incisa nei nostri tessuti, è scesa dentro di noi attraverso la scala a chiocciola dell’orecchio sino in profondità. Il nostro nome chiamato fra la folla ci fa voltare, ci rende presenti. Il modo in cui è detto può commuoverci, farci sentire amati, rifiutati, invitarci a duello o a una marcia per la pace nel mondo.
A volte il nome di nascita non ci identifica profondamente. La sensazione di non essere “quello lì” può risalire alla nascita, o accadere nel corso della vita, seguendo i nostri cambiamenti. Sentiamo allora il bisogno di dichiarare agli altri la nostra metamorfosi e, rinnovandoci, cambiamo nome. Penso, per esempio, ai nomi d’arte. Facciamo per puro istinto un’operazione magica molto importante. Infatti, il nome personale e in genere tutte le nominazioni, anche degli oggetti, seguono una linea di forza sincronica. La vibrazione della persona o dell’oggetto e quella del nome sono fuse e obbediscono alla stessa legge poiché tutto è energia e ogni cosa è tutt’uno con ciò che la compone così, fra il nome e la persona, oppure l’oggetto, si crea rispondenza. Tu mi chiami, io rispondo. Il Nome è il punto di congiunzione fra la parte più intima della Cosa nominata e la sua relazione con l’esterno.

Cambiando nome cambiamo vibrazione e quindi qualità della forza che ci identifica.

Per questo quando il nostro nome non ci rappresenta decade. Se la qualità della nostra personalità non è più affine a quella del nostro nome esso non viene più usato.
Quando viviamo crisi di identità, ci mettiamo alla ricerca di quella sottile qualità che è “chi siamo”. Apriamo le porte alla filosofia, alla religione, alle pratiche spirituali.  Cerchiamo un Maestro che possa aiutarci nel nostro cammino verso noi stessi. In molte tradizioni è d’uso assegnare ai praticanti un nome spirituale che ricordi le qualità che si è invitati a sviluppare, oppure quelle che ci contraddistinguono. Alcune volte il nome spirituale ci è consegnato per rimanere segreto per essere usato solamente nella meditazione e nel silenzio. La sua vibrazione farà il suo lavoro nel nostro campo energetico attraverso la camera segreta del cuore.

Il cambiamento del nome è come una luce rivoluzionaria che, passando attraverso il prisma della luce che siamo, riverbera una nuova aura.

Molto più raramente siamo noi a scegliere un nuovo nome perché, comunque sia, il nome è un fatto comunitario, sociale: è come gli altri ci percepiscono o ci desiderano.
Il nome quindi ha una forza autonoma che, più che appartenere ai singoli, appartiene al gruppo. Noi non ci chiamiamo mai e quando pensiamo a noi stessi, ci pensiamo con il pronome “io”.
Il nome va di pari passo con le qualità e, conseguentemente, è come se i nomi “si dicessero” da soli emergendo contemporaneamente, se non addirittura prima, del venire ad esistenza di chi li porterà. Il nome occupa già lo spazio vuoto che l’universo crea poco prima che qualcuno giunga ad indossarlo, similmente ad una sorta di prenotazione, come stanza che si fa vuota prima dell’arrivo di un ospite. Ben lo sanno le madri quando, incinte, ascoltano il nome del nascituro farsi chiaro attraverso le viscere e la pelle del ventre.

In qualche modo è il nome che ci parla e fa di noi qualche cosa. Il nome dichiara la sua parte di realtà dentro e fuori di noi: è il modo di essere nel mondo della forza che lo abita, poiché il nome esprime la natura delle cose. Il nome è la cosa stessa.

Se tutto questo somiglia al vero, non sorprende che molte pratiche spirituali abbiano canonizzato diversi modi di chiamare la divinità. La ricerca del suono che permette di evocare una forza, è parte del nostro istinto spirituale. Attraverso i Nomi sacri, infatti, riverberano qualità, poteri e caratteristiche delle diverse parti di quel “fatto complesso” che chiamiamo dio.
Settantadue sono i Nomi cabalistici, novantanove per i Sufi, mille sono quelli della Madre divina.
Nella pratica della preghiera dei Nomi, c’è un ribaltamento: dall’essere nominati cerchiamo di nominare per entrare in relazione con un una parte sconosciuta. Cerchiamo di metterci in contatto con l’Altro da noi attraverso le sue qualità manifeste.

La ricerca del Nome della divinità corrisponde al bisogno di stabilire una relazione con ciò che “c’è di maggiore”. La divinità, ontologicamente inconoscibile, si manifesta attraverso la sua parte materiale: la natura. Le cose del mondo, gli alberi, gli animali, il cosmo con le sue stelle, il mare e ogni alba, sono gli organi sensibili della divinità, il suo modo d’agire, la sua firma. Idee come  bellezza, amore, malattia, morte, pace, guerra, gioia, dolore, violenza sono ispirazioni che sorgono dal contatto con “ciò che è”. Le energie e le dinamiche fra forze che costituiscono la vibrazione della vita, sono il sussurro della sua anima ed è tutto ciò che  comprendiamo  delle sue leggi di vita e spirito.

Chi pone l’orecchio, sente.
Chi sente, canta.

Chi canta vibra. Nascono così i Nomi sacri: dalla percezione sensoriale o intellettuale dell’esistenza di dio; nascono dalla poesia, dal sentimento d’amore, del dolore e della violenza. Nascono dalla vita e da tutto quello che sottopelle sentiamo trascenderla. I Nomi sorgono alla mente davanti ad un paesaggio, a un microscopio o al capezzale di una persona amata. Dalla mente, i Nomi scendono a pizzicare la lingua che poi batte sul tamburo del palato e percuote le corde vocali stabilendo un nesso fra realtà immanente, percezione, sensazione, suono e linguaggio. I Nomi si fanno carne attraverso la voce e dalla voce, diventano una relazione.

Noi chiamando i Nomi, pregandoli, meditandoli, utilizzando simboli o acque vibrazionali e così ci facciamo facitori della realtà, esattamente come quando qualcuno, registrato il nostro nome all’anagrafe, ci ha dato vita giuridica. Saremmo ovviamente esistiti lo stesso; per vivere basta nascere e si può vivere una vita incognita sfuggendo alla comune classificazione fra esseri umani, così come fanno i miliardi di Nomi che, come stelle che non sono ancora entrate in un telescopio, ancora non vengono cantati.

I Nomi conosciuti si fanno ponte fra noi e ciò che del Sublime riverbera ai nostri sensi.

Molti divinizzano la natura, gli elementi, i pianeti o altro. In qualche modo sostituiscono il creato al creatore. Svellendo la matrice della forza generatrice dalle sue stesse creature però si mette in atto una forma di idolatria, le si fa primedonne occultando ciò che le origina. Praticare l’uso dei Nomi richiede l’accortezza di non scambiare chi genera con chi è generato. E’ importante, io credo, ricordarsi sempre di essere una parte di natura, un agglomerato di geni, una misticanza spirituale e terragna. Superando l’idea che fa di noi stessi dei protagonisti capaci di modificare le cose del mondo attraverso la nostra preghiera, potremo stare nella feconda confusione che ci fa capaci di pregare chiamando Nomi per avvicinarci il più possibile alla radice del mondo manifesto, superando la mera visione delle sue molteplici forme.

Sento che è nello sfioramento quasi intangibile di quella radice che si può ricevere un messaggio e che, se la nostra mente è allenata all’ascolto, lo si può poi trasmettere.

Accadono così le “scoperte” scientifiche, esse non sono qualche cosa di nuovo, ma un disvelamento della realtà.

I Nomi, anche solo per il fatto che li incontriamo raccontati in un libro come questo, sono una Realtà attiva. Essi incorporano una parte di Realtà, ne sono un rivestimento, un indice. La forma grafica e il loro suono si adattano alle caratteristiche della mente di chi sceglie di pregarli con la voce o di meditarli nel silenzio.

Pregare e meditare sono modi di aprire una relazione diversa dal consueto, sono esercizi di grandezza, allenamenti per l’incommensurabile, modi per impratichire il cuore a ricevere amore, informazioni, visioni e per aprire le orecchie all’ascolto interiore.

Nella pratica dei Nomi ci si esercita in rapporto speciale con la divinità, con la parte sottile della Vita, con la Radice, con l’Essere, con l’Essenza.

E’ facile che l’arte della preghiera porti davanti ai nostri occhi anche l’inefficienza delle nostre relazioni ordinarie: l’altro non risponde, il nostro agire sembra vano, non siamo felici … . Preghiamo, ma spesso non otteniamo un feed back comprensibile e dato che non siamo altro che specchi di noi stessi, riverberiamo sul piano sottile ciò che siamo nella vita. Per questo la preghiera e la meditazione ci sono maestre. Esse ci danno una misura di noi stessi, così è utile cercare di avvertire l’effetto della nostra pratica attraverso la vita, nel mutare delle relazioni, nella maggiore o minore chiarezza mentale. Non sono le baluginanti e strabilianti visioni della mente a determinare la diversa qualità di noi stessi, ma la capacità di trasformare le emozioni che esse offrono in esperienza e scambio con coloro che ci circondano.

In sintesi, è la nostra capacità di osservazione e di apprendimento che costruisce la relazione fra noi e il Nome, e conseguentemente fra noi e chi ci è vicino.

Personalmente amo molto la pratica dei settantadue Nomi, li ho pregati tutti, uno alla volta per i cinque giorni della loro reggenza per un anno. Li ho recitati anche tutti in sequenza cercando di avvertire cosa accedeva in me. Ho immaginato che il suono della mia voce tessesse un manto vibrazionale che si appoggiava là dove è il suo posto e poi sono rimasta seduta ad ascoltare le immagini e le sensazioni, ma, più ancora, ho vissuto osservando cosa accadeva nella mia quotidianità.

Io sento che quando prego percorro un sentiero già tracciato da migliaia di esseri prima di me e mi faccio minuscola come una bimba che cerca una mano più grande. Cerco l’orma di chi ha camminato prima di me e la calzo con il mio piccolo piede e vado avanti fin dove il cuore tiene.

8 Febbraio 2020

Olivia Flaim