La preghiera è un esercizio di grandezza

Pregare e meditare sono esercizi di grandezza, allenamenti all’incommensurabile, modi per esercitare il cuore alla visione.

Cercare le parole della preghiera o i gesti della meditazione sono espressioni artigianali del nostro profondo essere perché significa esercitare la qualità della voce o del silenzio,  allenare la postura, cercare il luogo e l’ora adatta .

Da dove si pesca la voce per dire una preghiera? Non v’è chi non abbia trovato sgraziata la propria nel sentirla pregare …
Qual è il gesto che accompagna una domanda? Quale il modo per accompagnare un grazie?
E infine: quali sono le parole della preghiera: le mie o quelle d’altri?

Passare dalla spontaneità della preghiera naturale come per esempio: Caro dio, per favore … ,  al tono sicuro dei Salmi: Fammi giustizia o dio … , richiede un grande spostamento sia ideologico che di sentimento.
Il primo è l’esperimento  di chi si è raramente cimentato con la presenza-assenza di dio; il secondo ha già acquisito un’immagine interiore del divino e un dialogo.

Molti non pregano perché non sentono di avere fede. Non credo  … , dicono.

Eppure, prima o poi, per gioia o per dolore, la spinta verso la fede si presenta magari sotte le spoglie di “sentimento oceanico” per dirla come Bergson o come sete d’immenso. Per ognuno arriva il momento nel quale tutto, Il Tutto, preme da fuori o da dentro di noi e allora la mancanza di un gesto o di una parola per dirlo si fa sentire in modo lacerante e la si cerca, indipendente dalle fedi religiose,  indipendentemente dal non credo. Quando Il Tutto preme  si cerca di pregare. Si inventano preghiere o si recitano preghiere sapute.
Che sia disperazione o gratitudine, oppure quando sentiamo troppo forte la forza del sentimento o della vita, cerchiamo il modo per esprimerci così intensamente da farci aprire il cuore e le labbra in una preghiera.

Cerchiamo le parole che possano gettare un ponte fra l’oceano in noi e la grandezza del cielo.
Ecco perché pregare è un esercizio di grandezza e, poi, anche di immaginazione visionaria.

Dovrei io un insetto
che danza sul Tuo raggio
osare riverirti?

Così ha scritto Coventry Patmore.

Pregare è una sfida, è mettersi al cospetto di chi è sentito maggiore, smisurato ed enorme e richiede il coraggio della propria anima.
Chiedere, dire, annunciare, imprecare, gioire, lamentare, dichiarare sono i modi attraverso cui ci si cimenta contro il proprio limite per cercare di valicarlo. Pregare è infine un modo per desiderarsi presenti a se stessi e immaginarsi oltre lo steccato.

Pregare è un atto di fede verso se stessi innanzi tutto. Bisogna avere guadagnato dentro di sé la consapevolezza di avere almeno una molecola, un recettore di divinità, capace di chiamare, avvertire il divino del nostro esserci e poi anche di sentire la presenza. Occorre essersi concessi il permesso di cercare, di ascoltare il silenzio e di vedere luce nel buio.
Ecco perché la preghiera è un esercizio visionario.

Pregare è anche un esercizio di verità interiore e personale, poiché ogni bluff su se stessi è un autogoal; ogni richiesta, per quanto inopinata o malaccorta potrebbe infine essere accolta!

Tocca quindi, prima di pregare:

cercarsi bene bene
fino al fondo del proprio essere
e
prima di aprire la bocca
avere aperto
lo scrigno silenzioso e muto del cuore

Olivia Flaim
L’immagine è “La danza di Davide” di Luigi Scapini