Oh, che bello! tratto da “La bellezza è un aquilone”

L’elenco della bellezza

La bellezza ha toccato il mio vivere sin dall’infanzia.
Sento ancora vividamente la voce di mio padre: “Olivia! Guarda che bello!” e, nelle pieghe del suo sorriso: “Senti … che bello.”

Mio padre era un grande amante di bellezza, il suo sguardo sul mondo era in continua caccia di un baluginio, un fiore, un odore, una sensazione di pace che subito condivideva. Ed eravamo in caccia, io e mio fratello, a cercare le Cose Belle nascoste in ogni dove. Il merito di trovarle era premiato con una carezza ampia che, come un’ala, copriva tutto il viso e il capo.

Per me Bellezza ha il sapore di un ricordo, di un premio d’amore che ancora oggi mi intenerisce e mi fa rendere grazie a quella bella persona che è stato mio padre.

Ai miei figli ho regalato panorami, li ho esortati ad andare in cerca di odori allevandoli come segugi del bello perché certi profumi, la panetteria con gli antichi scaffali di legno, la drogheria di paese, sono indicatori di eccezionalità, soglie di bellezza, aperture su mondi collaterali.

Nel profondo so che la bellezza è “ricreativa” e che il “sentimento di bellezza” è un seme che, quando trova la terra giusta, cresce.

In momenti cupi ho affidato la mia rinascita alla bellezza di una tavola apparecchiata con cura, quasi che la tavola fosse un cosmo: i piatti pianeti, il cibo le fiere nella foresta; il vino fiumi e l’acqua il grande mare e io, la Grande Dea della Creazione, coLei che apparecchia.

La bellezza è una risorsa che cerco portare sempre con me, le ho trovato un posto nel portafoglio, a volte nelle tasche. Sono attenta a riconoscerla quando tocca e punge il mio essere per riaccendere il motore di un sentimento sopito, perché lì, dove dorme o riposa, Bellezza svela qualche cosa di essenziale, di genetico, vero e potente. L’incontro con Bellezza ha il suono di un big bang dell’essere che, pur accadendo sovente, non è udito perché siamo drogati da quanto di illusorio e commerciale ha ammansito il nostro sentimento di bellezza.

La coscienza senza bellezza si addormenta e lo spirito di depressione trova là il suo campo, perciò bisogna averne cura. La vera Bellezza, ciò che è autentico, è come una gemma ancora chiusa che vuole svelare la sua originalità e vivere. Il destino di Bellezza è unirsi al grande canto dell’esistenza per farne una danza di magnificenza.

Pensare, ascoltare e scrivere di bellezza fa del bene alle mie giornate. Lo sguardo sul mondo diventa curioso, predisposto a cogliere quanto di bello mi venga incontro e a filosofeggiarlo. L’esercizio della filosofia è per me un modo quotidiano di vedere il mondo. Cogliendo le esperienze che succedono, ne cerco i lati nascosti, quasi che ci fosse sempre qualche cosa di piccolo fragile che chiede ragione del suo essere là, a rendere di sé la sua parte di incompresa e muta meraviglia.

Di fronte all’invito a scrivere questo articolo, sono sfuggita alla tentazione di spigolare nella mia libreria alla caccia di pensieri altrui, così sono partita da mio padre, da me stessa, e da un elenco delle cose e delle situazioni che nella mia quotidianità sono Bellezza.
E’ stata una felice sorpresa riconoscere quanto spesso nel mio intercalare compaiono espressioni che includono la bellezza come parametro di ciò che vivo.
Eccone alcune:
“Che bello quando si spengono le luci del cinema e mi affosso nella poltrona!”
“Oh, che bello! Mi ha telefonato mio figlio.”
“Ma che belli: guarda quei due come si baciano!”
“Che bella questa tavola apparecchiata!”
“Ah, che bellezza, come sto bene!”
“Che bellezza, oggi ho lavorato proprio bene.”
“Che bella serata fra amici.”
“Questa giornata è una vera bellezza!”
“Che meraviglia la luce di questo tramonto!”

Ecco, ho gettato una base e ora parto più o meno da qui.

 

Vademecum della bellezza. Istruzioni per l’uso

Ognuno di noi può esercitarsi a scrivere il proprio elenco di Bellezza e così individuare una serie di cose e situazioni che agganciano l’idea di ciò che è bello.

Sin da subito però mi appare l’aspetto alienante e sconfortante di questo metodo, quasi che Bellezza sia un’idea riducibile a una tavola apparecchiata, alla poltrona del cinema, ad una telefonata, a un cliente contento. L’elenco delle cose o delle situazioni che evocano il sentore della bellezza può diventare talmente ampio da rasentare l’infinito. I suoi contenuti, cangianti quanto lo sono gli umori del carattere, sono mutevoli quanto i bisogni che animano la vita, numerosi quanto lo sono gli esseri umani.

“Cose”, oggetti e situazioni, trovano il loro punto di similitudine per età cultura, condizioni sociali e climatiche offrendo alle infinite variabili dell’idea di bellezza, classi, generi e specie. Gli elenchi delle Cose diventano agglomerati, fac simile di Bellezza: serie di beni da supermercato, situazioni da pubblicità.

La Bellezza degli elenchi è pericolosa, essa si moltiplica in un labirintico gioco di specchi, si parcellizza, la si misura e poi infine la si vende e la si compera.

Il mercato, avido, offre istruzioni d’uso per diventare belli, orienta il nostro gusto, crea stereotipi di bellezza. Bellezza si fa simulacro che, con un cartellino del prezzo e una quota d’anima in saldo, occulta l’arte segreta e inalienabile per Essere Belli. Bellezza però, pur resa ombra di se stessa, si cela come ricordo o come possibilità in ogni cosa che la specchia. Anche nella produzione in serie conserva la memoria del fulgido momento in cui Bellezza si è fatta invenzione così, chi compra una Cosa, pur ignaro di acquistare la parte creativa di qualcun altro, comunque la acquista. Bellezza non è permalosa e si lascia trovare ovunque anche nei suoi simulacri animificando così anche il consumatore più ignaro, poiché Bellezza, che non si lascia imprigionare, ne’ soffocare, trova sempre la sua via. Sfugge dai banchi dei negozi, si fa evanescente e sottile come il profilo di un filo d’erba e sta là dove un animo predisposto ad emozionarsi, a lasciarsi incantare può incontrarla nello spazio del cuore, pronto per esserne rapito.

Ecco. Ora il mio elenco è diventato qualcosa, un modo del racconto, una porta che ho aperto per entrare in una stanza tutta da arredare.

 

Fuga dal supermercato. Sintomatologia della bellezza

Cose sente il mio corpo quando sono punta dal sentimento di bellezza?
Ecco la mia personale sintomatologia della bellezza:
Il corpo diventa come un’ampia stanza con grandi finestre aperte al vento. Le narici si dilatano, come a catturare un nuovo profumo e l’odorato si fa fino. Il respiro scende fino nella pancia e diventa profondo e rotondo. La cassa toracica, come una fisarmonica celeste, suona l’aria ossigenando il viso. I muscoli degli occhi si rilassano, le labbra, ammorbidite in un sorriso di compiacimento, si schiudono. A volte, un brivido lungo la pelle, altre, un affanno, come dopo una corsa veloce.

Indipendentemente da come giunga a noi, Bellezza è una percezione fisica, estetica, che sebbene diversamente da persona a persona, somiglia sempre a se stessa.

Ognuno declina privatamente quel che comunemente viene detto bello e tutti possiamo creare una descrizione somatica di Bellezza in base a ciò che, semplicemente, stimola la propria sintomatologia della bellezza. Chiunque è così in grado, entrando in risonanza con il proprio corpo, di fuggire dal supermercato della bellezza.

La ricerca del proprio linguaggio di bellezza è la via maestra per uscire dalla convenzione di ciò che ritenuto essere bello poiché cose e situazioni sono solo uno spunto per la Bellezza.

Bellezza è una risposta interiore, uno stato d’animo mescolato con uno stato percettivo che usa la parola bellezza per dirsi ma che, nello sceglierla per descriversi, aliena dalla comunicazione la propria, personalissima, sintomatologia.

Ogni parola, infatti, è un rifugio, un luogo semantico sicuro che, pur favorendo la comunicazione la rende sommaria. Bellezza-parola è una parte condivisibile e quindi commerciabile, che non individua e non include Bellezza-sintomo la quale rimane privata intima. Le parole sacrificano la loro genesi, la prima reazione estetica e così elidono la parte di stupore e sorpresa che le genera. Bellezza-parola è una sorta di fantasma della sua sensazione primaria, un ricordo dell’emozione. Le parole, rifugio delle sensazioni, sono il tradimento di ciò che le origina. Esse massificano, omogenizzano, triturano le percezioni e le emozioni. Bellezza-parola firma capi di vestiario, mette l’arte in musei con i faretti ben puntati, lasciando dimenticare che ciò che l’ha originata è ineffabile, indescrivibile, effimero, sorprendente. Pura illusione rinchiudere nella parola la memoria di ciò da cui deriva. Per questo quando si sente arrivare alle labbra la parola Bellezza, la si tratti come un indizio, una traccia di ciò che ci ha aperto il cuore perché è da qui che si comincia a sentire, sentire veramente.

 

Il Sentimento della Bellezza. Dietro le quinte

Quando s’incontra Bellezza, abbiamo visto che il corpo risponde. Contemporaneamente anche che le percezioni fisiche diventano uno stato d’animo, un sentimento.

Il sentimento è una parte interiore, una risonanza affettiva rispetto alla quale ogni persona è cassa di risonanza del mondo esterno. Gli eventi che suscitano bellezza sono occasionali, un quadro, un panorama, un bacio e, solo che li si lasci penetrare dentro di noi, ci muovono.

Non è importante cosa faccia muovere il “sentimento di bellezza”, piuttosto è importante il movimento del tessuto emozionale che, decodificando qualche cosa come Bello, modifica l’umore di fondo offrendogli una nuova tonalità.

Un panorama per esempio, guadagna l’esperienza della bellezza solo in certe condizioni: che ci sia tempo per osservarlo, che si sia “con la compagnia giusta” … . Di per se il panorama è sempre fruibile: è lì ad attendere di emozionare. La sua amenità, salubrità, o specialità, sono elementi secondari dato che anche la nebbia in un quartiere industriale ha evocato il sentimento della bellezza. A volte il sentimento della bellezza è totalmente casuale, altre è l’esito di una ricerca. Il colore di un fiore sul bordo della strada sorprende, la visita a un luogo notoriamente bello, è una scelta, creare è uno stile di vita.

Il Bello trova il varco attraverso una predisposizione dell’umore, forse la disponibilità ad accogliere, oppure un’assenza di problematicità: uno di quei rari momenti nei quali l’emozione interiore non è armata; magari è semplicemente distratta e così si lascia incontrare e sposare dal bello.

Il Bello, anzi ciò che è sentito bello, è senza struttura poiché non dipende necessariamente dalla sua forma e, più che materiale, è sensibile. Nella mia percezione, per esempio, il sentimento di bellezza è simile a un farsi ampio, grande permettendomi di includere e di “mettere dentro”, molto più di prima, ciò che sta intorno. Mi succede che il fuori diventi interiore, percettibile e che ciò che stava dietro le quinte di un esperienza possibile, ne diventi parte attiva.

Sono astrologa e guardo il Cielo di Nascita di molte persone. Vedo un diagramma, non il cielo reale. Vedo righe tirate fra punti che segnano la presenza di pianeti lungo una circonferenza. Le righe a volte disegnano figure: aquiloni, stelle, triangoli, diademi di linee che suggeriscono i movimenti dell’anima di chi li reca incisi sulla sommità del suo capo. Ecco. Il sentimento di bellezza si accompagna spesso a quello che faccio perché succede che, nel guardare le mappe celesti delle persone, io provi quell’emozione di grandezza e di espansione. Accade che io possa sentire un cielo non mio come parte di me. E’ un grande privilegio. Leggere oroscopi mi permette di includere qualche cosa che c’era ma che non mi era presente, nascosto dietro le quinte dei molti modi in cui si può vivere, emozionarsi, e così imparo, attraverso uno zodiaco, in quanti modi l’esistenza sia creativa.

Questo è uno dei miei modi della Bellezza ma, tutti siamo parte della sua danza segreta e ne siamo rapiti. Per esempio quando ci nasce un figlio, quando siamo davanti ad una meraviglia della natura, quando una canzone ci trascina nel suo mondo, quando preghiamo, quando ridiamo, quando facciamo l’amore, quando un profumo di pane ci fa sentire fame, quando troviamo modo di esprimere al meglio chi siamo. Quando sentiamo di fare parte di un flusso più grande di noi, quando il nostro essere è consapevole di essere inserito nel disegno del cosmo, quasi fossimo simili alle fessure del marciapiede che disegnano mandala geometrici dall’insondabile armonia.

 

Armonia, guerra e inferno

Mi piace giocare con le parole, a volte anche in modo disonesto. Non seguo le corrette regole dell’etimologia, opero spudorati sincretismi e così mi faccio sorprendere dalle parole dentro le parole, dai loro piccoli segreti che come ingredienti di una ricetta, donano quel buon sapore complessivo ma che, se isolati sono amari, acidi, piccanti, cattivi. Questa attitudine mi deriva, più che dallo studio della filosofia, da una pratica di meditazione. Nella mistica ebraica si usa “far ruotare le lettere” che compongono le parole secondo un sistema di cambio di posizione che ne azzera il significato convenzionale fino a farne sentire l’energia, la forza primordiale. Chi va a caccia dell’essenza delle parole risale il fiume del loro suono cercandone la sorgente e così ne trova gli ingredienti segreti che danno il gusto buono ma che, in sé buoni non sono.

Armo-nia per esempio. Cosa c’entra l’essere armati con il significato di questa parola che indica consonanza di ritmo, voci colori e forme? Come l’essere armati, muniti di braccia, serve a comporre la giusta proporzione, l’accordo finalistico, la sinfonia di elementi diversi? Forse che armonia, uno dei frutti di Bellezza, sia un esito, una quintessenza di elementi spuri, droghe senza le quali il prezioso cristallo del sale non giungerebbe ad amalgamare il gusto?

La radice ar, dal greco, ha il senso di congiungere, adattare, acconciare; un poco come fa il lavoro delle braccia che seminano acconciando la natura, che abbracciano congiungendo, che adattano il mondo alle proprie esigenze, guerreggiando. L’arma però non è solo uno strumento di offesa, ma anche di contatto. Si offende ma contemporaneamente si tocca. Si ferisce e si separa quello che prima era unito, di un intero si fanno frammenti così, stanandoli li si rivela.

Anche la parola bellezza, in latino bello, che significa far guerra, si mescola con bellus, buono e, come per la parola armonia, nel cuore di ciò che è Bello si trova lotta, mischia, ridda.

Mi viene in mente un’esperienza di qualche tempo fa.

Stavo meditando sull’Albero della Vita e sulla sfera Tiphereth, il cui significato è Bellezza. Le lettere ebraiche che compongono questa parola apparivano dietro ai miei occhi di un colore purpureo come i vinaccioli che a tratti diventava rubino a tratti marrone. Colori che nell’olfatto sono diventati un sentore acre di sangue. Sono rimasta scioccata da questa percezione così netta. Aperti gli occhi, ho cominciato a interrogarmi sul perché la Sfera centrale dell’Albero, quella che rappresenta il cuore spirituale di ogni essere umano mi desse l’odore del sangue rappreso. Certamente, ho pensato, perché sempre di cuore si tratta. Non soddisfatta però, ho guardato se all’interno della parola ve ne fossero altre che potessero darmi ragione del sentimento di forte sgradevolezza che avevo provato e … sorpresa!

Tipheret, contiene una radice che dice: “sputo”, “spregevole”, “luogo d’arsione”, “dolori infernali”. Bellezza quindi include il brutto, il dolore, l’indegnità e quanto rimandi a tutto ciò che vorremmo gettare in un falò.

 

La bruttezza salverà il mondo

Gioco parafrasando una celebre frase del Principe Myskin nell’“Idiota” di Dostoevskij: la bellezza salverà il mondo.

Per mia natura sono una ribelle: e spingo a tutta birra verso ciò che sento più giusto. Quando mi guardo intorno, sono fatalmente attratta da qualche cosa che correggerei. I bidoni della pattumiera per esempio. Li detesto. Sono fatti in modo che buttare i resti sia diventata una prova di buona salute, una specie di nuovo sport urbano che sfida i dolori articolari, la forza nelle braccia imponendo un mirabile coordinamento fra il lancio del nero sacco e il movimento del piede che apre le feritoie dove deve cadere. Litigo, ribollo, ricordo con nostalgia le vecchie pattumiere condominiali, che andavano diritte da casa nell’enorme secchio di alluminio argentato. Progetto mentalmente pattumiere che rispondano al comando vocale: “Apriti Pattumiera”! I miei bidoni per la spazzatura sono belli, funzionali, disponili tutti i giorni senza targa alterna, decorativi, salubri e facili da usare.

Litigo anche con i gelatai che non sanno più mettere due palline su un cono nemmeno per 5 euro l’una e però invece di organizzare un’attività socialmente utile come una marcia di protesta per difendere la dignità del cono a quattro gusti ad un prezzo che non sfiori il milione di euro, mi sono limitata a precludermi l’accesso alle migliori gelaterie della mia città.

Ogni volta che m’infiammo per qualche cosa mi rendo conto che senza la giusta rabbia non c’è conquista, non c’è cambiamento, non c’è bellezza e nemmeno tanto gelato. E non è una questione di Cosa ci infiamma, ognuno ha i suoi punti caldi e il suo possibile raggio d’azione. Dalle pattumiere brutte al gelato monogusto si impara a fare comitato, marcia, proposta di legge.

Mi è piaciuto molto scoprire che Gesù quando compiva i miracoli era arrabbiato: reso potente e color di brace da un sentimento di rivendicazione del bello del sano e del giusto, trovava il tono e le parole per produrre metanoia.

Niente cambia senza avere toccato la radice del brutto, senza averla riconosciuta, senza essersi avvelenati almeno un poco. Senza il brutto non c’è misura del bello, senza la disarmonia manca la percezione della simmetria, dell’ordine, dell’equilibrio.

Per istinto ho sempre intuito nella bruttezza il suo contrappeso in bellezza, nel dolore la spinta del piacere, nella frustrazione l’immaginazione di qualche cosa di migliore per sé. Ho adorato Calimero. La bellezza opera attraverso la bruttezza come uno come strumento di redenzione, un modo della consolazione, uno stimolo della capacità di trovare risorse. La bellezza è un effetto secondario di ciò che è brutto, è l’intimo tesoro della bruttezza. Amo il brutto perché nei suoi interstizi vedo più luce che in pieno giorno e mi esalta scoprirlo e mostrarlo per fare sì che sia fruibile; che quel barbaglio di orribile bruttezza che si era sottratto alla vista, possa rimettersi nel circolo della creatività esistenziale.

Il titolo di un film molto recente Collateral Beauty, Bellezza collaterale, mette in luce questo aspetto della vita: le situazioni brutte hanno dei doni traducibili in bellezza.

La Bellezza non è solo bella. E’ intensa, feroce, ardita, pungente, dolorosa, avvincente, perforante, stimolante, battagliera, sporca come la polvere del marmo, sputata come la fatica di chi non si accontenta. Perciò trova posto nei cuori sanguinolenti, lì dove tutto arriva ma nulla sta fermo. Il cuore si fa polo di smistamento verso le mille periferie dell’anima dove i creatori di Bellezza lavorano e gli occhi attendono.

 

 

Rivoluzione selvaggia

Quando chiudo gli occhi e mi ascolto interiormente, difficilmente trovo una sensazione di agio. Incontro la mia inquietudine, selvaggia e brada come una fiera nella savana. Molte sono le sue facce: tristezza, malinconia, rabbia, dolore esistenziale, senso di vuoto. La fiera balza di qua e di là, ora in caccia, ora torpida. Ora sazia, ora colma solo di fame.

Quando riapro gli occhi e torno nel mio umore sociale, gentile e sorridente, sono costretta a notare che vivo fuggendo alla dominazione della mia natura selvaggia con la stessa cieca determinazione di un esule che fugge dalla patria del suo dolore.

Esco dal mio dentro e scrivo, metto in parole e poi riga le mie emozioni. Le rendo affabili, colorate sontuose. Le attacco ai commenti delle carte dei Tarocchi, le ritrovo nelle righe di un salmo e adopero il mio sentimento con tanto ardore che lo sforzo mi fa sudare muovendo solo le dita sui tasti. Uso la mia intimità per ingravidare le parole, le piego per divellere abitudini, le sconquasso per creare lallerie mutevoli.

Chi mi legge non sente l’odore del sangue e della carne bruciata ma c’è. La parola “suono”, per esempio, non dice la sua fuga dall’urlo, eppure io lo sento; non dice dell’attesa di essere canto, e anche questo lo sento. La parola è la tana dell’emozione, è una città costruita dopo avere abbattuto la foresta.

Bellezza è come un territorio selvaggio che, per essere esplorato richiede il coraggio delle escoriazioni, la forza del machete, la passione che fa dimenticare la fame.

La natura per esempio, fonte di tante immagini di bellezza, è per me il luogo della freddezza. Vado in natura, ci cammino per giorni con lo zaino in spalla. Cinque kili di casa, una Olivia neonata, e basta. Nel bosco avverto l’indifferenza della fiera natura. La potenza dei suoi processi, fioritura-frana-colore-tempesta-profumo, ha una qualità d’anima che la rende totalmente perfetta e indifferente. Starci dentro costringe ad andare dove un essere umano, emozionale al novantanovevirgolanove per cento rifiuta di mettere il suo passo. Per questo la addomestichiamo coltivandola troppo, producendo cibo che non mangiamo. Ammansiamo la sua fierezza piegando i rami dei meli come si piegano le lamiere in fabbrica. Per lo stesso motivo una gita, difficilmente dura il tempo necessario per mettersi in crisi.

Solo certuni, hanno il coraggio di accettare l’incontro con la bramosia della natura e, mettendosi emozionalmente nudi, di sopportarne il ritmo cannibale.

Anacoreti, mistici, solitari, artisti di ogni genere si ribellano al consociativismo e accettano il patto con la natura, le cedono il proprio psichismo, abbandonano la loro personale fantasia sul mondo e accogliendo l’immaginazione magistrale di chi, o cosa, l’ha creata e continuamente la ricrea. Che sia un pensiero filosofico, un nome di dio o una percezione animista, la fonte della creazione è la creatività stessa: la testa di Bellezza spinge attraverso il suo canale di parto per giungere alla vita.

E vi giunge, attraverso la vagina di coloro che accettano di esserne gravidi.

 

Arte. Preghiera. Animosomatica

Essere gravidi di Bellezza è una condizione simile a quella della preghiera, è lasciare uno spazio vuoto per un ospite sconosciuto e ancora lontano. E’ l’espressione di un desiderio così tangibile e forte, da apparecchiargli tavola attendendo di farne conoscenza.

Sentire Bellezza è come pregare, un esercizio incessante di autenticità che implica fortemente il corpo poiché la sua immensa parte interna è il luogo dove Bellezza e preghiera si incontrano.

Il modo del riconoscimento della preghiera è, come per la bellezza, il corpo che come un cuore enorme fatto di braccia, fegato e piedi, vibrando si fa pompa del fluido di vita, di quella sensibilità che qualcuno chiama grazia divina.

Nella preghiera l’autenticità, la ricerca delle parole, del modo, del luogo, del tono di voce, sono tese a esprimere la verità del sentimento, così come la mescola dei colori di un artista, è tesa verso la trasfigurazione del reale nel suo gioco di magirealtà.

Per manifestarci al divino, per farci credere da lui-lei, bisogna essere veri fino in fondo: il bisogno che sentiamo, la lode che vogliamo rendere, l’intercessione per cui siamo lì, a pregare deve valere la pena di essere ascoltata, prima di tutto da noi stessi. Solo così l’orante, nella fiducia che avrà accordato a se stesso e alla forza della sua preghiera, riconoscerà come manifestazione di dio gli eventi della sua vita e, quali che siano, comunque gli si presenteranno, li ospiterà alla sua mensa e li benedirà.

Accogliere Bellezza, similmente, è avvertire il suo profumo lontano e seguirlo annusando finché non ci si avvicini così tanto da averne un’intuizione che faccia muovere le mani costruendo una ruota, dipingendo, scrivendo, accarezzando o graffiando la vita, comunque cercando di rendere visibile il lontano richiamo del sublime.

Animosomatica è una parola che mi è venuta in mente quando, scrivendo “La danza di Davide” mi sono resa conto che la preghiera dei salmi costringe lo spirito ad abitare il corpo. Il fisico nei salmi è molto presente: spesso organi o funzioni corporali prendono parte della preghiera come protagonisti principali. Ossa, fegato, reni, occhi, lacrime, cuore, lingua, labbra, fianchi, orecchi, cantano, ascoltano, guardano, si purificano, si sbriciolano, ardono. I salmi insegnano che la trasformazione animica produce ormoni, fa piangere, battere più forte il cuore, lacerare le vesti. I salmi impongono, attraverso il passaggio della preghiera nel corpo, di non tralasciarlo e di interrogarci sul suo stato. Come stanno i tuoi reni? E il tuo fegato? Hai sete? I salmi sono un legame con la sensibilità e fanno superare il rischio che il pregare prenda la piega di un pensiero rivolto solo alle grandezze piuttosto che alle cose a misura d’uomo.

Così come l’artista, ricevuta la grazia dell’ispirazione, esce di casa e compera uno scalpello e della creta, così anche chi prega diventa sempre più corporale e la grazia della preghiera, passata per l’animosomatica, diventa sensazioni che si traducono in azioni, pensieri che diventano opere, emozioni che creano relazioni.

Ecco, anche la preghiera diventa Bellezza.

Non è detto che ispirazione e preghiera facciano delle nostre opere di vita qualche cosa di accreditabile come Bello, ne’ è detto che il nostro lavoro trovi il favore del successo. Ispirazione, grazia e bellezza potrebbero ingravidare il nostro andare nel mondo in sordina, in incognito.

Se oggi per esempio, uscendo di casa, incontrassimo un Angelo del Signore con i suoi occhi fiammeggianti, il suo immane peso lieve come un soffio, la sua parola telepatica e se a pranzo ne facessimo racconto, accenderemo il sospetto di pazzia. Potrebbe essere che grazia, ispirazione e bellezza furbescamente si travestano e si facciano gatto, così:

E’ solo un vecchio gatto che ci ha seguito fino a casa.
Non ha una stella che brilla su di lui ne’ un mantello setoso.
Non ha striature da tigre fiera, ne’ un’andatura nobile
o un elegante collarino di velluto.
E’ un pulcioso, sporco gatto di città, non un gatto da salotto:
un piccolo sacco di vecchie ossa.
“Bellezza” ti chiameremo.
Vieni, Bellezza.”
(Eve Merriem – The Stray Cat)

Olivia Flaim

Articolo pubblicato nel libro “La bellezza è un aquilone” a cura di Maria Giambruno Edizioni Mazzotta