05 Dic La nascita della preghiera come ricerca filosofica: i salmi
La filosofia antica, in particolare quella greca, nasce come pensiero dedicato all’uomo e alla comprensione del senso della vita. La riflessione filosofica voleva dire qualche cosa sul modo di vedere il mondo che permettesse all’uomo di dare senso all’esistenza e al dolore.
Se intendiamo il termine senso come ciò che ci permette di raccogliere gli stimoli esterni (udito/suono, tocco/tatto) il senso della vita è ciò che si attiva quando la capacità di percezione dell’esistenza si manifesta nelle reazioni emotive e fisiche della persona.
Il pensiero filosofico anticamente non intendeva confinarsi nella sola costruzione teorica, bensì offriva strumenti pratici per la trasformazione e l’elaborazione dell’esperienza.
La pratica del dialogo nelle sue diverse forme della retorica e della dialettica, come anche quella dell’esegesi di testi e aforismi prescelti per la meditazione, era considerata quale pratica di trasformazione, ovvero un modo di ampliare e di intensificare il senso della vita.
La memorizzazione e la ripetizione di sentenze poetiche o filosofiche, come anche l’assimilazione e l’immedesimazione immaginativa di testi e detti costituivano uno dei patrimoni delle “pratiche filosofiche” ovvero degli esercizi che le antiche scuole greche offrivano ai propri allievi al fine di promuovere il loro sviluppo spirituale, inteso questo come espressione completa della persona e comprendente quindi sia gli aspetti emotivi che quelli intellettuali unitamente a quelli più immateriali.
Ciò che oggi è ascetismo, ovvero mistico superamento del mondo, allora era askesisesercizio, pratica del corpo e della mente autenticamente capace di far uscire dalla sterile ripetizione del comportamento e del pensiero.
In questo senso la preghiera, intesa come forma del dialogo con ciò che è considerato divino, è pratica filosofica prima ancora che religiosa.
I salmi, che sono le nostre preghiere canoniche, sono uno dei libri sapienziali dell’antico testamento e fanno parte della liturgia cattolica, benché la loro origine sia molto più antica del cristianesimo stesso: il salmo 29 è fatto risalire approssimativamente al XII secolo a.C..
Cristo stesso cantava e pregava i salmi usandoli a memoria, essi erano uno dei modi in cui diceva la sua personale esperienza e la vita: le sue ultime parole “Alle tue mani affido il mio spirito”, sono il versetto 6 del salmo 31.
La preghiera detta attraverso la memorizzazione di testi era dunque parte del modo comune dell’espressione e della comunicazione, uno schema verbale sul quale le emozioni si intessevano e al quale attingevano espressività che solo in epoca successiva si è connotato come religioso.
I salmi sono testi molto compositi nelle loro espressioni, narrazioni degli eventi più significativi dell’esistenza e declamazioni di ogni tipo di sentimento. Vi sono fra di essi alcuni che a stento sono riconosciuti essere preghiera, se la si intende unicamente come espressione di devozione, volontà di bene e amorevolezza. Essi infatti usano anche l’invettiva e l’improperio e se a noi oggi sembra quanto meno privo di senso civico, se non del tutto immorale, esprimersi con il tono dell’imprecazione, lo si può invece ben comprendere se contestualizzato in altri tempi.
Quanto al fatto che il linguaggio di una preghiera possa dare voce anche a sentimenti d’ira, turbamento e desiderio di vendetta, non sembra privo di valore esperienziale, visto che l’invettiva, il lamento e la richiesta di giustizia permettono l’espressione autentica e completa della tavolozza emotiva della persona senza sottrarre al rapporto con il divino e con la propria intimità più profonda, nessuna delle declinazioni nelle quali l’uomo avverte se stesso. In questo senso la preghiera celebrativa, come anche il canto di lode, sono solo alcuni dei possibili momenti del sentimento personale.
Ecco quindi che questo modo di intendere la preghiera come racconto di ogni sfumatura umana è un vero e proprio esercizio di dimestichezza con i sentimenti, soprattutto quelli scomodi e socialmente riprovati per i quali, nella nostra cultura odierna, non vi è posto.
Pregare i salmi con tutte le loro parole senza escluderne nessuna, dirli, leggerli, commentarli, recitarli a memoria, cantarli e suonarli sono modi della trasformazione che acuendo i sensi espandono la vita, transitando non più attraverso il rifiuto e la rimozione ma permettendo il riconoscimento e la pregabilità di ogni coloritura che l’anima umana può prendere. Nel pieno rispetto della sua indicibile e meravigliosa varietà.
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