La Danza di Davide

Mi hanno sempre affascinata le pratiche spirituali, quelle discipline  che sviluppano l’attitudine ad una visione che si sollevi dalla quotidianità per lasciar ampliare la percezione di quanto accade. Di qualsiasi origine, filosofica o religiosa, le pratiche spirituali mirano a sfuggire dall’automatismo interpretativo su quanto ci circonda. Intendo per spirituale non solo quanto si eleva oltre il piano materiale dell’esistenza ma anche quanto sia sottratto alla ordinaria amministrazione di pensieri e sensazioni secondo una sequenza logico-causale-sensoriale che appiattisce l’interpretazione del vivere in rigidi parametri. Penso che sia negli spazi del non abituale e della “prima volta”, del pensiero o della sensazione, che lo spirituale possa trovare una possibilità di venire alla luce.

Tornando alle pratiche spirituali, esse in genere hanno lo scopo di promuovere attenzione e sensibilità e di porre nella condizione di offrire più alternative interpretative a ciò che accade.

Per esempio, fermare la mente significa aprire lo spazio interiore dell’ascolto, fermare il corpo dal suo incessante movimento permette di coglierne la complessità, la meraviglia e l’irrequietezza.
Imparare a “fare sosta” è una delle vie predilette per aprire la porta su quanto non sia solo legato alle necessità quotidiane o al regolare e progettuale svolgimento della vita ma a ciò che ancora non lo sia.

In questo senso vorrei considerare la preghiera come un atto pratico, prima che spirituale o religioso, vorrei vorrei restituirle quel tanto di azione e di corpo che ne mantiene viva l’esperienza, ovvero quanto possa essere individualmente e direttamente acquisito nel patrimonio percettivo di chi la vive.

Ai salmi sono approdata dopo aver percorso per tanto tempo diverse discipline: ho molto amato il Tay Ji Quan e altri tipi di meditazione orientale nei quali, a parte le specificità di ognuna, indistintamente in tutte il respiro e il corpo dettavano il ritmo della dimensione di ricerca.

Sono arrivata ai salmi perché ad un certo punto ho sentito il bisogno di cercare un linguaggio e una possibilità di evocazione immaginale legata alla mia cultura di origine. Mi è capitato, infatti, di provare un senso di estraneità verso l’immaginazione della tigre o l’assunzione delle movenze della scimmia, animali che notoriamente non corrono né sulle nostre spiagge né sulle Alpi, come anche verso la recita di suoni-mantra le cui sillabe sono lontane dalla mia cultura e dalla mia vita.

Ho cominciato a provare curiosità ed è così che ho aperto il fronte della ricerca su quanto, in termini di pratica spirituale, appartenesse alla nostra tradizione. E’ stato allora che ho incominciato a leggere i salmi e che mi sono affidata a ritmi di preghiera regolari e scanditi mantenendo sempre vivi i doni avuti dal mio “transito” ad oriente: respiro e posizione del corpo. Cominciando a praticare i salmi ho  provato però fortissime inquietudini: il loro linguaggio oscuro, spesso acceso mi ha gettato letteralmente fuori dall’idea che alla preghiera si potessero connettere solo i pensieri di bontà, compassione e accettazione.

Dire preghiere improvvisamente non è più stata l’oasi dove si può intravedere solo un mondo migliore, ma una palestra del sentimento buio, negativo e temuto che solitamente si relega nel silenzio e nella negazione.

E’ in questa palestra un poco strana fatta di parole meravigliosamente confortanti, invettive e barbari scongiuri, che ho avuto la fortuna di leggere il mio primo libro diispirazione cabalista “Il simbolismo del corpo umano” di Annick de Souzenelle e di avvicinare così il tipo di interpretazione che oggi tanto amo.

I salmi sono stati scritti in ebraico e l’alfabeto ebraico, base di una complessa esegesi mistica, è considerato un alfabeto sacro. Ognuna delle ventidue lettere che lo compongono, è al contempo sostanza e simbolo di una qualità della forza che ha costruito e che continuamente plasma la creazione.  Pensare alle lettere come forme primigenie dell’energia, avvicina ma non completa la loro natura perché esse sono sì primitive ma al contempo anche evolutive.  

La meditazione sulle lettere fa sospendere il significato convenzionale del testo per raccontare ciò che attraverso di esse si dischiude alla mente e alla percezione, innovando e trasformando la parola-oggetto dalla quale si è partiti. Una sedia non sarà più solo un comodo arnese del quale fare uso per riposare o stare comodi ma qualche cosa d’altro, una sorta di composizione di forze ed energie, che si sarà aggiunto di volta in volta utilizzando una sempre rinnovata sensibilità e attenzione interpretativa.

Ecco che, così facendo, meditando sulle lettere e sui testi dei salmi, tutto si trasforma sotto gli occhi nella mente e nel cuore di chi pratica e accade che le parole si colorino di nuova esistenza, connessioni inusuali, ragioni non pensabili alla sola luce del primo livello di significato del testo.