Farfalle e pattumieristi

Non so tu, come ti senti quando esci.
Te lo chiedo e se vorrai dirmi come ti senti, scrivimi qui sotto o dove altro vuoi.
Nel frattempo apro la strada e ti dico come mi sento io.

Spesso quando esco di casa mi sento triste. Non so bene perché.
Anche oggi. Uscita dal portone di casa ho avvertito la farfalla della tristezza muovere l’aria dietro i miei occhi, velarli.
Arrivo fino alla pattumiera e incrocio altri pattumieristi con il loro sacchetto in mano. Lancio un “buongiorno!” e mi accorgo della fatica di superare la barriera sonora della mascherina  con la voce. Mi accorgo che contemporaneamente al levare della voce, ingigantisco anche gli occhi, atteggiandoli ad un sorriso. Altra fatica.
Alzare la voce e sbarrare gli occhi. Contemporaneamente.
Mi fermo un attimo e, colta dal mio solito senso di solitaria ironia, vedo che le mie espressioni, viste da fuori, sono come quelle di un grosso scimmione impaurito che alza la voce e sbarra gli occhi, un po’ per vederci meglio, un po’ perché così facendo, pensa di spaventare chi lo guarda. Non c’è da sorprendersi se non ho stretto amicizie alla pattumiera. Mi vien da ridere.  Che brutta idea ridere … i pattumieristi mi guardano con ancora maggiore sospetto di prima: ho parlato a voce troppo alta, ingigantito gli occhi e pure rido.
Ok, ok … Incompresa, me ne vado guardandomi la punta delle scarpe con spicchio di mascherina arancione che copre il resto del piede. Rido di sottecchi ma ancor più di prima mi viene da piangere.
Cosa sta succedendo?
Sono una gorillessa tonta e se almeno le mie espressioni facciali fossero state congruenti con le mie emozioni, avrei fatto fuori qualcuno e sfogato così quel tanto di aggressività da confinamento.
Bon. Nel tempo di un lancio di pattumiera, tristezza, paura, aggressività, limite, incomprensione.

Ci sono paure dentro e fuori. Tante da far perdere il conto. Così tante da far reagire con astio, diffidenza, e sospetto prima di ogni altra reazione.
Ho da tempo fatto la scelta di parlare di me allo scopo di evitare opinionismi e il dilagare di concetti astratti. Parlo di me e mi faccio specchio. Cerco di acuire ogni mia sensazione per vedere dove mi porta.
Penso ad alcune delle mie paure “di dentro” che prima nuotavano nel mare dell’inconscio, e che ora sono “paure di fuori”, oggetti, espressioni, limiti reali.
Alcune sono sicuramente comuni ad altre persone, alcune forse sono veramente personali.

La prima è la sordità. Quando entro in un luogo pubblico, un ospedale, un negozio o altro mi trovo davanti a un telo di plastica. Dietro al telo di plastica c’è una persona con una mascherina e sopra la mascherina una visiera di plastica, tipo antisommossa, agganciata ad una specie di corona verde o azzurra, di plastica, sotto la quale una veletta di carta copre i capelli.
Io a mia volta ho una mascherina e dei guanti tipo spesa. Dico quello che devo dire a chi sta dietro lo sportello e non sento quello che mi rispondono.
Va bene, tocca dirlo. Non sarà questa volta che mi umilia più di altre.
Soffro di anacusia dalla parte sinistra, il che non vuole solo dire che ci sento poco, bensì che sono proprio completamente sorda da una parte.
Alla risposta che non ho sentito, reagisco dicendo, “scusi non ho sentito”.
La persona dietro la plastica ripete quello che ha detto nello stesso identico modo di prima. Non alza il volume della voce e nemmeno la testa. Insisto quindi. Non è che non capisco, non ci sento.
Pare villano insistere, le persone si spazientiscono a ripetere, ti guardano come se ci fosse una tua cattiva volontà nel volere che ripetano. Insomma, in queste condizioni io non ci sento un cazzo. Non vedo la bocca, non posso leggere il labiale, non vedo l’espressione, non posso leggere le emozioni.
Sono improvvisamente diventata più sorda e più cieca.
Quando sono in difficoltà uditiva tendo ad avvicinarmi, per sentirci meglio. Così chino la testa e porgo l’orecchio destro vicino alle feritoie dove passano i soldi e i documenti.
Mossa sbagliata. Anche questo gesto viene letto come pericoloso. Dalle mani incelofanate mi cola il sudore fino a bagnarmi i polsi del maglione. Alzo la mia mascherina come per aiutare ad essere sentita. Ancora una mossa sbagliata, loro mi sentono. Sono io che non sento loro.
Mi sento impotente e frustrata. L’impiegata motteggia con le colleghe. Si danno man forte. Più voci dietro le plastiche. Non sono nemmeno più in grado di capire da sotto quale maschera provengono. Come mi accade spesso la paura mi fa aggressiva e direttiva: “ Ho detto che sono SORDA, non ci sento!!! Adesso parlate una alla volta e chi parla ALZI LA MANO, altrimenti da qui non mi muovo!”
Quanta gente c’è che non ci sente intorno a me?
Facciamo la marcia dei sordi, dei sordastri e di chi “non ci sente”?
Condividiamo esperienze e un caffè non al bar?
Così, perché mica sono la più sorda d’italia …

La seconda è la paura dell’uomo nero.
“Guarda che viene l’uomo nero a prenderti”, diceva mia nonna cercando di ottenere un po’ di disciplina. E com’era questo uomo nero? Con il volto coperto e il collo rincagnato fra le spalle, era di fatto senza viso. Così lo immaginavo e così vedo oggi le persone intorno a me. I volti coperti dalla mascherina sono un emblema di pericolo, una minaccia. Non sono lontane le discussioni sulla legittimità del velo nelle nostre culture occidentali, la questione della riconoscibilità e della sicurezza era un cavallo di battaglia contro i veli.
I volti coperti che lasciano liberi solo gli occhi sono associati ai ladri, ai rapinatori, a chi l’ha fatta grossa e non vuole essere riconosciuto. Le sciarpe degli amanti avvolte intorno al viso, i colli alti tirati su fin sotto le orecchie, il nascondere la faccia inequivocabilmente è sinonimo di nascondere qualche cosa.
La mia mente, e forse anche quella di qualcun altro, associa il volto coperto al pericolo e quindi tale immagine muove la paura ma siccome oggi non solo non è vietato ma anzi, è obbligatorio avere il volto coperto, l’emozione della paura da “viso mascherato” non viene decodificata come tale. Eppure il corpo la esprime esattamente come paura, basta guardare le posture delle persone in giro.
Dico davvero, sedetevi su una panchina e guardate.
E cosa fa la paura quando striscia sottopelle?
Rende aggressivi, reattivi, sospettosi, si manifesta nei sogni.
Ho sognato che un intruso aveva aperto la mia porta di casa con un bancomat e che si era sdraiato al mio fianco dichiarandomi amore e passione: “ho scassinato la porta perché ti amo e non posso fare a meno di dormirti accanto.”
Bella roba.
Sempre nel sogno l’ho messo alla porta dicendogli che se tanto mi amava, la prossima volta suonasse il campanello.
Ora vediamo se torna!!
Hahhaha!!!

Olivia Flaim

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Foto di Stefano Golinelli