Perù 4. C’è agitazione intorno a me

Me ne sto sdraiata in mezzo a un pericolosissimo prato.
Molto più pericoloso di un prato altoatesino dove comunque formiche, pungitopo e ortiche, ti fanno capire com’è andata che qualcuno ha inventato la sdraietta.
Qui, più o meno, il prato ha gli stessi abitanti, solo che sono molto più grandi. Uno a dieci circa.
Sto sdraiata a pancia in alto e guardo il cielo.
Le nuvole non sono la specialità del Perù perché il cielo di qui è piuttosto bianco e lattiginoso. L’azzurro è un caro ricordo del Tirolo.
Guardo e in poco tempo lo sfondo biancastro, si è comunque fatto interessante.
Vedo uccelli sfrecciarmi sopra la testa. Alcuni solitari volano veloci come quel tipo di persone che sanno esattamente dove andare. Decisi e concisi. Muovono la coda come se fosse una scopa di saggina, pochi battiti d’ala ben assestati e via.
Altri volano a piccoli stormi. Sono più grandi e lenti. Volano con un fare nobiliare, indolente e indeterminato come quelli che, pur non avendo lavorato negli ultimi cinquecento anni, mai gli è mancata l’argenteria di casa né il paté.
OH! … e poi … ecco i falchi!
No! sono avvoltoi!
Sono molto comuni qui, ti vengono vicino e calpestano le aie insieme ai polli. Sono quasi animali da cortile, eppure sono pur sempre avvoltoi. Quando aprono le ali volano senza sbatterle, come per farti capire che loro hanno il giusto passo nel cielo.
Volano ognuno per sé, a diverse altezze. Volano. Per come e perché volano, non sono questioni rilevanti. Lo fanno e basta. Mi fanno pensare ai militari che non devono porsi il problema di essere nel giusto. Lo sono per divisa.
A parte gli uccelli di stampo nobiliare che volteggiano cazzeggiando mollemente, tutti gli altri sembrano avere il loro da fare, una direzione e un posto in cielo.

Rimpatriate. Le persone che ho conosciute durante questo viaggio sono rimpatriate quasi tutte.
Ogni partenza mi lacera di dubbi.
Personalmente non ho fatto molto per essere fra coloro che sono riusciti a mettere il sedere su un volo diretto “a casa”.
Ci ho provato, sì. Quasi per dovere e non perché sentissi che, veramente-veramente, volevo tornare a casa.
L’idea di cosa è casa è molto in discussione dentro di me.
E’ un indirizzo? Un luogo di lavoro?
E’ il posto dove il tuo ritorno è atteso?
Nell’amletico dubbio, torno o non torno, sono entrata in agenzia viaggi l’ultimo giorno di apertura delle frontiere, venti giorni fa, per prendere un volo per Lima … che da lì … tutto è possibile …
Dire che c’era caos è un eufemismo. Nell’agenzia, un baraccotto di lamiera bollente, c’era tutto il mondo. Era il mio turno e la signorina mi dice con la faccia sorpresa: “Un biglietto per Lima! Sì, sì! E’ l’ultimo posto sull’ultimo volo … lo prende?”
Mi si stringe lo stomaco.
Lima era l’unico focolaio in Perù.
Da Lima non c’erano voli per l’Italia né per nessuna altra parte del mondo.
Lima in un ostello mi pareva più pericolosa del più contagioso posto immaginabile. Verona mi pareva pericolosa quanto l’ostello di Lima.
Guardo la signorina, metto mani al portafoglio per prendere tempo mentre in realtà stavo interrogando il mio cuore che, giusto giusto, era nella borsa.
Alzo gli occhi e le dico: “Sì, prenoti.”
Clic, clok, tap tapp … “Oh, lo siento … il posto non c’è più.”
Ok. Ho tirato un grande respiro di sollievo.
Che bello! Il destino, complice la mia indecisione ha deciso per me.
Resto a Pucallpa.

Sono qui e stento a rendermi conto di come vanno le cose. C’è il coprifuoco e oggi hanno stabilito l’uscita alternata per uomini e donne. Lunedì, mercoledì e venerdì, gli uomini, gli altri giorni le donne. La domenica tutti a casa.

Mi arrabatto a imparare lo spagnolo passando ore in compagnia di Babbel, ripetendo come un pappagallo: “Ti piace fare sport?”; “Vuoi una birra?”; “Hai comperato le mele per fare la torta?”
Ahimé!
Non è ancora arrivata la lezione in cui la simulazione di colloquio è fra un poliziotto, Olivia e il suo avvocato.
Olivia: “Nnnon sapevooOo che il coprifuocooo fosse dalle 23.59 alle 24.00!!!.”
Poliziotto: “Non è ammessa ignoranza della legge penale -avvocato lei lo sa- … faccia il favore, vada in galera senza fare troppo rumore!”
Olivia, strascicando i piedi mentre viene portata via a spalle da due bellissime guardie: “No, ma io… ascolti … sono madre di famiglia, anzi nonna … veda quello che può fare … in galera noooo”
Il Poliziotto inflessibile e imperterrito: “No, cosa? Cosa no?? Lei è bionda, italiana, ha 59,9 anni e oggi ha respirato un intero minuto fuori dai confini della quarantena … quindi, lo decido IO, lei va in galera.”
Olivia, mentre mi ammanettano: “Avvocato!!- – dica qualcosaaaA”
L’Avvocato un colpo mi guarda le gambe, un colpo il codice: “Ehemmm … non ci sono precedenti … lei è la prima nonna bionda italiana arrestata … Senta, intanto vada con le guardie, poi ci pensiamo eH?”

I miei pensieri oziosi sotto il cielo bianco sono più o meno questi.
Tanti hanno voluto “tornare a casa” per le ragioni più diverse ma con un sotto tema comune.
“Non voglio ammalarmi qui. Non ci sono ospedali attrezzati e infine, ho sempre pagato le tasse e voglio il rimpatrio.”

Io sono qui sotto il cielo pieno di uccelli che sfrecciano e mi godo molto questo momento prezioso.
Sì, le tasse le ho pagate anche io. In cambio ho avuto buon asfalto sulle strade, cosa che qui non è. Ho avuto ottime scuole. Ho imparato l’inglese con cui oggi chiacchiero e tengo corsi di Tarocchi in mezzo alla selva. Ho fatto un miliardo di lastre, tac, risonanze magnetiche, ortopantomografie, esami del sangue, elettrocardiogrammi, encefalogrammi. Ho acceso e spento la luce elettrica trlioni di volte. L’acqua calda non è un optional.
Sì ho pagato le tasse.
Eppure dal punto di vista di dove sono ora non mi sento di avere dei crediti da riscuotere.
Mi riferisco ai crediti di vita e non a quelli governativi.
Quel tipo di credito  che ti fa nata in una parte del mondo piuttosto che un’altra.
Qui la cintura di sicurezza economica è un giorno.
Chi non ha guadagnato il 25 Marzo il 26 non mangia.
Chi si ammala non lavora e non mangia.
Per questo, in questi venti giorni di quarantena, non mi sono sentita di rompere le palle al governo italiano, all’ambasciata, ai consoli e agli impiegati per sollecitare un rimpatrio militarizzato, ne’ per farmi venire a prendere a Pucallpa, che è lontana 16 ore di tornanti andini da Lima. Non mi sono proprio sentita di diventare una priorità in un momento nel quale altro richiede il codice rosso.
Mi sento di avere consumato, avendone avuto già i benefici, tutte le tasse che ho pagato.
Mi sento di essere qui, insieme a molti che come me, hanno paura del contagio, sapendo che non ci sono ospedali, respiratori, mascherine perché quello che è certo è che il virus non conosce la geografia.
I confini, i governi, il debito pubblico, l’assistenza sanitaria, la giovane o vecchia età di chi diventerà la sua prossima preda, non lo interessano. Mica sa delle tasse e dei diritti.
Lui vola basso e colpendo la vita, colpisce anche il centro del cuore, più o meno all’altezza di qualche cosa che lavorandoci molto sopra, si chiamerà umanità.

Finché me la sentirò, finché non avrò un attacco di panico e di vigliaccheria che mi spingerà a chiedere aiuto non solo all’Ambasciata ma al Supremo Comitato dei Governatori Intergalattici, starò qui dove sono a compartire la mia vivenza con chi c’è, quale cittadina della Terra.

Certo che, comunque, avere visto la targa del Van che portava “a casa” le persone con cui ho condiviso tanto, ha fatto alzare dietro ai miei occhi la polvere della paura.

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Strada di casa

31Marzo 2020
Olivia Flaim

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