9. Indonesia. Nudità

Al mare dove vado io, la nudità è abbastanza frequente, non tanto quanto in Spagna ma in molti posti mi sento libera di girare senza costume.
La nudità è per me un fatto così abituale, che non provo imbarazzo ma ci sono modi della nudità che non hanno nulla a che vedere con i centimetri di pelle scoperti.

Quando sono atterrata a Bali al desk per il controllo dei passaporti, mi sono rivolta all’impiegato parlando in italiano. Ero stanca e non avevo preparato nessuna frase adatta all’ufficio immigrazione.
Mi stavo spazientendo del suo silenzio … ci ho messo qualche secondo a comprendere che gli stavo parlando in una lingua che non era la sua. Il suo sorriso paziente mi ha dato tutto il tempo che mi serviva per resettare l’italiano.
Così, dopo il mio bel: “Buongiorno!” ho aperto il file mentale “lingue straniere” e subito è comparso il tedesco. Un attimo di sospensione … non è la lingua giusta … ho chiuso gli occhi e finalmente mi si è aperta la bocca con un: “… sorry …” e da lì sono partita con il mio inglisc a toppe.
Fra le diverse cose che mi ero preparata ad affrontare, quello della lingua non era stato un mio pensiero. Solo lì, con il passaporto in mano, mi sono resa conto che avrei dovuto parlare straniero per tutto il viaggio.
A volta l’inglese mi usciva fluido. Ho parlato di filosofia, di Qabbalah, ho letto i Tarocchi a più persone ma ciò nonostante, a volte non mi veniva in mente neanche una parola. La mia mente andava in blocco. Soprattutto verso la fine del viaggio. Quando ero stanca, la mia comprensione degli altri scendeva a livello zero e la mia capacità di farmi capire sotto zero. Non avrei saputo chiedere nemmeno un bicchiere d’acqua.

Una sera a Yogyakarta sono andata a fare un giro, non era tardi ma là fa buio presto.
C’era moltissima gente per strada e a un tratto mi sono sentita fragile, esposta.
Mi sentivo come se non avessi i vestiti, la pelle mi scottava.
Provavo un sentimento di vergogna forte ma indistinto.
Mi sentivo nuda.
Avrei voluto schermarmi, coprirmi, sparire.
Da dove veniva quella sensazione?
Perché, ad un tratto, mi sentivo così tremebonda?
Sapevo che non era il caldo.
Mi sono fermata a sedere su un gradino e improvvisamente ho focalizzato: non stavo capendo una sola parola fra il fiume di voci che mi circondava.
Ero in stress.
La pelle era calda come se stessi correndo controcorrente in un tunnel di acqua bollente.
Mi sono sentita fuori posto, fuori di casa, “fuori” in un ambiente sconosciuto.

Se fossi caduta per terra lì, non avrei saputo dire niente, non ricordavo nemmeno in che città ero e i nomi degli ostelli dove ero stata recentemente cozzavano uno contro l’altro.
Ero in blocco e mi sentivo spogliata come mai prima d’allora.
Non certo perché altri mi guardassero o mi importunassero come spesso accade da noi dove occhi di cui non hai richiesto l’attenzione, ti radiografano fino al fondo delle ossa.
No. Le persone da quella parte di mondo sono gentili e pacifiche come da noi mai.

Ero nuda nel mio essere straniera e sola mentre calpestavo un selciato dove i sassi disegnano fiori anziché semicerchi.

Olivia Flaim