8. Indonesia. Acqua

Con l’immaginazione torno spesso al Tirta Edul.
E’ un tempio vicino Ubud.
Ci sono andata un giorno, pioveva tanto e l’aria non era calda.
Bali è terra di acque, ci sono tante cascate alcune molto spettacolari, il mare tutto intorno, fonti, risorgive. I campi di riso sotto al verde mandano bagliori quando la luce si rifrange nell’acqua. Piove molto.
L’acqua è sacra. E’ madre terra che si mostra nella sua essenza.
E’ il “veicolo” delle preghiere e delle benedizioni.
I templi “vivi”, dove la gente va in preghiera, hanno spesso fonti, laghetti, vasche con i pesci.
Un giorno avevo in piano di vedere diverse cose e il Tirta era una di queste.
Il posto era molto bello: belle le colline intorno, bello il percorso.
Era pieno di gente nonostante la pioggia.
Arrivo alle fonti.
Numerose anfore gettano acqua in una vasca piena di pesci e le persone, vestite con un sarung blu o verde vi si immergono. C’è chi dice le preghiere e chi si mette in posa e si fa fare le foto.
Guardo e penso “che peccato non avere un asciugamano”.
Tiro diritto e arrivo al laghetto dietro le vasche. E’ un posto sorprendente. L’acqua non è alta ed è limpidissima. La superfice è ferma, a malapena vibra per le gocce di pioggia ma appena sotto, un gorgo di sabbia nera palpita incessantemente.
Il fondo del laghetto si muove come una piovra tentacolare ma senza che ne’ un granello ne’ un’onda turbi la placidità della superficie.
Mai vista una cosa del genere, nemmeno l’ho mai pensata possibile.
Resto lì, affascinata da questa polla che mi pare magica.
Sfuoco lo sguardo, e cerco di cogliere immagini … chissà che qualche Essere mi si manifesti!
Avevo il tempo contato e quindi dopo poco vado via.
Il resto delle cose viste in giornata non mi ha toccata.
Ci dormo sopra.

Il pomeriggio ero in partenza per l’interno ma appena alzata ho sentito il bisogno di tornare lì. Prendo un asciugamano, un taxi e arrivo alle fonti.
Appena arrivata, un ragazzo mi si avvicina e mi chiede se so come “fare il bagno”.
Sono sorpresa del suo interesse. I turisti in questo posto sono molti e lui non era un pandit.
Gli rispondo che no, non so.
Mi guida dove distribuiscono i sarung e mi dice che mi avrebbe aspettata.
Mi cambio e lo ritrovo.
Mi porge due cestini per le offerte, mi dice dove metterli, mi indica il giusto posto per la meditazione prima di entrare in acqua, mi dice sotto quali fonti bagnarmi e quali no perché alcune sono solo per chi ha subito un lutto.
Mi fa vedere come lavarmi il viso e come bere: tre sorsi per ogni ampolla.
Le prime fonti sono di pulizia e “scarico”, l’ultima è per le richieste.
Mi dice. “concentrati perché l’acqua ascolta”.
La vasca è piena di pesci. Io ho avuto per anni una fobia per i pesci.
Crisi isteriche memorabili.
Vedo le grosse carpe e mi comincio a sentire così così, con un attacco di panico in salita.
Ho trovato il coraggio di entrare in acqua, mi tremavano le gambe e non volevo deludere il mio “maestro”.
Mi ritiro dentro il mio spazio interiore, lì non ci sono i pesci, e comincio il mio rituale.
La testa sotto lo zampillo, lavo tre volte il viso, bevo tre sorsi.
Cerco di non pensare e di lasciar fare all’acqua. Lei sa.
Vedo i pesci passarmi tra le gambe, respiro e torno “dentro”.
Con lentezza e pienezza, arrivo all’anfora delle richieste e lì mi si apre la bocca.

Mille cose ho chiesto, per me, per chi amo, per chi ho amato, per il mio viaggio che iniziava allora, per avere migliore comprensione di me stessa, per la gioia e per l’amore.
Per la saggezza e la vecchiaia.
Per essere sempre nuova come mai delusa.
Per avere fortuna. E salute.

Esco dalla vasca e cerco il ragazzo che mi aveva aiutata per ringraziarlo.
Sparito.

Il viaggio è andato bene.
Nessun contrattempo, belle cose viste e sentite dentro.
Tante scoperte su me stessa.

Prima di partire sono ritornata qui a bagnarmi e ogni tanto, da casa mia viaggio fino a lì con l’immaginazione.
Mi metto davanti al laghetto sacro e aspetto un segno, un messaggio.

Olivia Flaim