Perù 8. Delfini e mosche

Stavo guardano il fiume Ucayali.
A volte mi perdo a guardare fuori. Nella mia vecchia casa avevo l’abitudine di perdermi nella finestra della cucina. Non succedeva nulla là fuori, solo a volte un fagiano o una lepre lontana, le nuvole e i colori delle stagioni e delle diverse ore del giorno e comunque mi piaceva stare seduta davanti a quel prato.
Sull’Ucayali guardare il fiume era un’altra cosa. Nulla sta fermo nella giungla, perfino il corso dell’acqua non sembra andare sempre nello stesso verso. Ho visto spesso i delfini nuotare a dieci metri da me con il loro movimento sinuoso e rotondo. Il loro comparire mi portava una commozione inspiegabile che altri animali non muovono. Non gli avvoltoi e nemmeno le scimmie. I formichieri poi, meno che meno. Certi uccelli sì, il loro canto era una musica incessante.
I delfini hanno una grazia e una capacità di sorprendere che vale tutto il tempo che stavo seduta ad attendere il dono di vederli. Mi sembravano forieri di buona fortuna e benedizioni.
Ero lì seduta, persa nella linea dell’orizzonte a guardare gli uccelli pescatori tuffarsi a rotta di collo per prendere il loro pasto. Sono divertenti. Volano nervosamente e poi d’improvviso si fermano. Sembrano elicotteri in stallo, poi mettono in becco in posizione verticale all’acqua, danno dei colpi d’ala e di coda per prendere velocità, si tuffano, bucano l’acqua, scompaiono per una manciata di secondi e poi ricompaiono con la loro piccola preda nel becco.
Stavo guardando il fiume, dunque, quando ricevo questo messaggio.
“Buongiorno, se mi può richiamare sono G.C., ambasciatore a Lima.”
Lo richiamo subito e mi dice di avermi contattata per verificare che io sapessi dell’organizzazione di un volo di rimpatrio per l’Italia.
“Sì, grazie. Ho visto la notizia sul sito della Farnesina. Non ho preso contatto con l’Ambasciata perché il volo è fra due giorni e io sono parecchio lontana da Lima. Inoltre ho deciso di fermarmi qui, mi sento in un buon posto, sicuro e comunque non ho possibilità di raggiungere Lima.”
“Sì, -dice lui- capisco, non è una scelta scontata. In ogni caso se avesse bisogno riusciremo comunque a triangolare un volo di rientro con altre compagnie.”
Questa breve telefonata ha avuto su di me l’effetto di un risucchio. La mia coscienza non era più sparsa nel fiume ma concentrata dentro al significato di quella telefonata. Strano che l’Ambasciatore mi abbia chiamata, strano che lo abbia fatto personalmente e non tramite le persone del suo ufficio, strano che abbia chiamato dal suo cellulare, strano che abbia chiamato me.
Archivio il più velocemente possibile la telefonata, rimetto i piedi sulla balaustra e attendo di ritornare al mio stato contemplativo. Impossibile. Il mio cervello aveva cominciato il suo inarrestabile cammino polemico, accampava scuse intavolando i soliti discorsi a botta e risposta. “Eh, ma insomma il volo costa 1000 euro; sono qui, guarda che bello; che paranoie ti fai …; qui il mondo ti sta abbracciando …; che torni a fare …; il virus è qui, il virus è là, c’abbiamo il virus nel cervello che già era bacato prima, figuriamoci ora … . E comunque non ho modo di  arrivare a Lima in tempo. Punto e basta. Torna a caccia delle ombre dei delfini e mukkele.”
Tempo mezz’ora e mi arriva un messaggio dal gruppo whatsapp “Stuck in Pucallpa” per annunciare che il giorno dopo sarebbe partita una carovana organizzata dall’Ambasciata Svizzera e dall’Unesco per andare a Lima. Giusto in tempo per prendere il volo.
“Oh, porca miseria.” Sento il rumore del mio alibi crashare mentre precipita e si frantuma a terra.
Due ore dopo vengo a sapere che il guardiano di notte è stato quarantinato perché la moglie poliziotta è risultata positiva al tampone. Tutto lo staff del lodge è stato licenziato. Troppo rischio avere intorno persone che “girano”. Vedo me stessa come una “persona che gira” e mi sento improvvisamente precaria in quel luogo.
Apro Babbel per la mia lezione di spagnolo e il dialogo è del tipo: “Cosa facciamo per le vacanze?” “Tengo ganas de ir a Lima. Es una ciudad muy linda” “Oh, che meraviglia, Lima!!! Dai, andiamo a Lima!!!”.
Con un colpo secco chiudo il computer e comincio a sentirmi mica tanto bene. Pure Babbel spinge per andare a Lima.
Altri fatti accadono in una rapida sequenza il cui significato poteva apparire ambiguo solo a me, che non volevo partire.
Passo la notte in bianco. Alle sette, lancio i dadi del destino. Apro il cuore e chiedo che gli eventi guidino i miei passi per la “felicità della mia natura”. Mando un messaggio all’ambasciatore dicendogli che dovevo riconsiderare la mia scelta di rimanere in Perù  e resto pronta ad accettare la risposta che sarebbe venuta, come “quella giusta”.

Andare, stare … chi lo sa cosa è meglio?
Quale è il significato di una scelta personale in un contesto come questo?
Chissenefrega dove sono. In Equador muoiono, in Italia muoiono, in Perù la pandemia comincia il suo cammino. Sento nella testa le note di Samarcanda “Corri cavallo, corri ti prego, t’aspettavo qui per oggi a Samarcanda, eri lontanissimo due giorni fa … oh oh cavallo oh oh ”.
Mi dicevo “non rinunciare a quello che ORA è buono per te. Non farti prendere dal virus della paura. Stai dove sei. Tranquilla. Buona, buona.”
Alle sette e dieci l’Ambasciatore mi telefona con la voce di sonno. “Non si preoccupi, prenoto io il volo e le faccio subito il salvacondotto. Difficile a dirsi ma forse è meglio che torni. E’ l’ultimo volo di rimpatrio che organizziamo e chiuderanno le frontiere anche ai voli umanitari.”.
Per una volta tanto il destino si appalesa chiaro e forte come un tuono sopra la testa.
Pucallpa-Lima-Roma-Milano-Verona
Io non mi sento d’accordo ma fa lo stesso.
Ucayali dieci, Verona uno.
Mi torna in mente il verso di una poesia di Rumi ricevuta poche ore prima da un amico: “La maturità spirituale è quando siamo in grado di distinguere tra “bisogno” e “volere” e siamo in grado di lasciare andare questa volontà.”
Attualmente non so più cosa significhi la locuzione “maturità spirituale”, qualche tempo fa avrei avuto una risposta. Ora l’ho persa e non voglio ritrovarla.
So per certo che non conosco bene i miei bisogni, altrimenti sarei felice più stabilmente.
So invece bene cosa vuol dire “volere”. Sono una testona di prima grandezza, pugnace, testarda, cocciuta, ostinata, caparbia. Sono costante, determinata, pervicace.
Sono coraggiosa e tonta. Un mix micidiale.
Ho scritto tutto questo da Verona.
Anche in questa casa ho una bella finestra ma fuori non succede niente.
Solo qualche mosca che sbatte sui vetri mi ricorda che sul pianeta c’è tanta vita.
Credo che il sapore di certi eventi si riveli nel tempo, come un vino che apre il suo bouquet poco a poco, senza fretta.

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